Il giugno caldo di quell’anno aveva portato con sé molta più afa di quanto gli abitanti del posto erano abituati a sopportare. Si sa, la bassa con il suo grande fiume è caratterizzata dalla consistente presenza di zanzare, moscerini, mosche, che ben amalgamate all’umidità, rendono l’aria pesante ricordando a chi ci nasce o a chi si trova di passaggio, che queste terre grasse e prosperose non sono mai emerse del tutto dalle acque torbide delle paludi.
L’intorpidimento dopo gli ultimi anni stancanti sia psicologicamente che fisicamente, si stava via via disperdendo. Tra le strade bianche delle golene passando dalle case cantoniere e dalle chiaviche della bonifica che regolano i flussi d’acqua in tutti i campi della bassa, scorreva una nuova energia. In particolare davanti ad una rimessa degli attrezzi due amanti avevano riprovato un senso di libertà a lungo desiderato.
A causa del virus i contatti fisici erano stati limitati favorendo i rapporti a distanza e rimanevano solo alcuni ricordi che ognuno cercava di ordinare per riprendere un cammino bruscamente interrotto. I due quindi decidevano di trovarsi davanti a quella rimessa raggiungibile da un lungo stradone, fiancheggiato da alti pioppi e immerso nella campagna. Dapprima titubanti, indossando ancora una mascherina che era ormai diventata parte indissolubile del corpo nonostante il virus fosse stato sconfitto, cercavano di lasciarsi andare. Le biciclette impolverate da mesi di fermo e appoggiate velocemente alla rimessa, sembravano abbandonate ad un destino infelice che si contrapponeva a quello che stava succedendo lì accanto. Era un pomeriggio caldissimo ed entrambi indossavano vestiti leggeri. Si intravedevano facilmente i corpi impigriti dalla routine forzata casa-lavoro, ma quello che non si poteva vedere ad occhio nudo era il desiderio forte ed echeggiante nei loro animi ancora frastornati. D’un tratto-viso a viso-toglievano la mascherina.
Un fremito percorreva le loro schiene un po’ curve, poste in avanti per scrutare meglio l’altro come se fossero dinnanzi ad esseri del tutto nuovi. Quel pomeriggio insieme ai loro corpi sudati, all’afa di giugno, al desiderio impronunciabile d’amore che alcuni parafrasavano alle più curiose spiegazioni, sostenendo perfino che non sarebbe mai più esistito, prendeva il sopravvento una ritrovata emozione che li accompagnava facendoli rincontrare in un bacio appassionato. Si annusavano, disegnando sui reciproci volti linee leggere con le dita, sfiorandosi appena gli occhi per non offuscare questa nuova vista e scivolando fino a perdersi senza spostarsi da quel luogo mescolando profumi, odori e sensazioni dimenticate.
Le labbra che si riconciliavano non erano solo le loro: erano le labbra secche e inaridite di generazioni intere che riprendevano vita lentamente, spoglie delle poche certezze che avevano ereditato negli anni antecedenti al grande virus. Nelle mani che si stringevano c’era la forza consapevole di poter cambiare le regole, strappare quella patina ipocrita che ricopriva una società che aveva fatto del successo a breve termine, dell’opportunismo, della beneficenza elettorale (e altre milioni di cose), pilastri imprescindibili di una realizzazione personale, avvelenandone i pozzi. Ma quel mondo finto era emerso durante la grande pandemia e il lato peggiore di ognuno si era palesato. Con la possibilità di gettare nuove basi, più solide, più vere, quell’atto iniziato con un bacio era l’antesignano destinato forse a soccombere, ma coraggioso nel protrarsi in avanti tracciando una nuova rotta. Il fermento non era solo culturale, ma umano.
Rimanevano così i due amanti, uniti nel caldo giugno di quell’anno promettendosi di riscoprire l’amore non per come gli era stato raccontato fino ad allora, ma in modo nuovo, genuino, vero, dopo lunghi anni passati a desiderarsi senza potersi davvero toccare.
Nella penombra continuavano insaziabili, sempre più affamati, incuranti del comune sentire. Non avevano tempo per dedicarsi al vociare persistente e invidioso di chi per troppo tempo aveva represso ogni desiderio, anche il più piccolo, trincerandosi dietro a quella assurda pantomima a cui l’essere umano si lega, s’incatena, s’imprigiona, fatta di stereotipi, stati sociali, apparenze. La stessa che rigettavano e come loro tanti altri, rialzando finalmente la testa tra le macerie di un mondo caduto in disgrazia ma pronto come mai prima di allora, ad essere ricostruito, libero una volta per tutte.
Ogni cosa riprese vita.
Daniele Gareri
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