
Queste strade di notte, tra nutrie e buche storte, con la luna che risplende sui campi e i fossi che si svuotano di acqua rancida, le rane che non ci son più e le ricordo quando da piccolo, alla finestra, osservavo mia madre e mio padre che facevano progetti nella nostra casa grande e poi guardavo mia sorella e le volevo così bene, quindi cosa posso dire se non che amo questo paese, con tutti i suoi limiti che forse sono più dei pregi e non me ne vogliate, lo sapete anche voi ed è ora che lo ammettiate che a vivere d’apparenza si vive malissimo.
Ma amo questo paese. In autunno c’è la nebbia, in estate c’è afa poi alla sera le zanzare, certezze. Come il pachistano con la birra in mano, l’indiano che lo guarda male, l’albanese al bar centrale e il russo che fa il magnaccia si, anche questo è il mio paese della bassa, non solo tramonti, eventi culturali o beneficenza elettorale, c’è di più: una fetta di fauna umana arrovellata tra ripassi e ritratti, odio, gelosie come le mie e le tue e intanto sotto i portici quotidianamente una messa in scena gratuita a tratti neomelodica, di imposizione ed egemonia non culturale ma economica, tradotto: “io ho più soldi di te” prende vita davanti ad una folta platea.
Le ho vissute da spettatore interessato per anni, quando i portici erano il mio posto di lavoro, incontravo gente e parlavo spesso con alcuni veri opinion leader over 70. Certo Novellara era diversa mi dicevano loro, con un po’ di nostalgia e gli occhi rossi ed io a ruota ad emozionarmi mentre mi si raccontava di quando arrivarono quei topi di fogna dei fascisti che suonavano casa per casa e c’era un via vai generale, chi fuggiva di qua, chi scappava di là, per i campi, tra le curve del Borgazzo, chi si nascondeva dentro un casolare e chi preparava le contromosse all’ombra dei pioppi. Di solito gli occhi lucidi di chi mi parlava non erano riconducibili solo a quella ipersensibilità che si acquisisce con il passare degli anni, ma dal dolore nel rievocare ricordi che solo il tempo potrà cancellare. Il tempo o una pandemia mondiale, come il covid -19 che ha portato via loro e anche me, ma questa è un’altra storia.
Vorrei parlarvi come ci parla Tondelli, Pier Vittorio lo scrittore, che è il mio preferito e i più arguti avranno già capito che lo sto imitando (perdoname Pier per mi vida loca) e con lui vorrei raccontarvi di scorribande sulla via Emilia e immaginarla come la nostra Route 66 e richiamare Jack Kerouac che chi mi conosce sa quanto ho amato e viaggiare noi tre insieme e raccontarcela, magari mi vien buono anche l’inglese scolastico che quando lo parlo sembro un punkabbestia fatto di Bologna, ma senza cane (senza cane perché il mio pastore tedesco è morto tempo fa e sono ancora dispiaciuto). Dicevo comunque che vorrei viaggiare con loro, magari faremmo il giro della bassa reggiana perché è l’unica zona che conosco bene, gli altri posti in cui sono stato saranno sempre una parentesi dolce e un po’ utopistica buona per riempire i miei quaderni di roba che non rileggo, fare qualche foto per i social, bere vino, finire i soldi e tornare. Ma questo bel giro in macchina non avverrà mai perché non ho il potere di far resuscitare gente e non ho mai avuto soldi per girare troppo in macchina, la benzina costa. Motivo per cui mi muovo in bici fino a quando non buco, poi nell’attesa di sostituire la camera d’aria, la bici rimane a prendere polvere in casa e allora cammino. Quindi alla fine sono sempre qui, esploro gli angoli di Novellara come fossero la mia isola del tesoro e in tempi d’ambientalismo spinto che-s’intenda-io appoggio, il sogno americano si trasforma in Sogno Novellarese, includendo la bici e non più la macchina per attraversare pianure sterminate e lunghi viali di pioppi.
Novellara sono gli odori che senti nel periodo della vendemmia, oppure a luglio, se non piove da diversi giorni e le pompe idriche attaccate ai trattori tirano su acqua e irrigando, dalla terra si alza quel profumo ferroso difficile da descrivere. Ogni stagione ha il suo e Novellara non è da meno. Anche la merda delle stalle profuma ormai, vivendoci dentro da così tanto e per quanto ci si sforzi di essere i più cool sempre in mezzo alla merda saremo, in senso metaforico ma anche in senso letterale perché qua intorno è davvero pieno di stalle super accessoriate amici, ricordatevelo nelle vostre sortite aeree quando vi elevate sopra gli altri con quello sguardo inquisitore, saccente e anche un po’ stronzo.
Sognatori, dicono di essere tutti sognatori, dicono anche a me di essere sognatore, ma io qua l’unica cosa che ho sempre sognato è vivere in pace senza debiti che per fortuna non ho, senza problemi di salute che per fortuna non ho (a parte qualche piccolo acciacco) e amare chi mi ama. Questi sono i miei sogni e ve lo dico perché mi sono rotto il cazzo delle vostre etichette che da quando vi conosco sembrate delle etichettatrici instancabili.
Negli ultimi anni ho imparato ad amare questo paese per quello che è, non per quello che sarà e nemmeno per quello che vorrebbe essere. Per esempio via Roma all’alba mentre la percorri per entrare in piazza e i primi bar accendono le luci scaldando i cornetti e tra gli occhi dei portici s’inseguono profumi di crema e cioccolata, sostenuti dall’aroma deciso del caffè e dai suoni appuntiti e stonati delle stoviglie lavate che, sistemate negli appositi spazi, stridono infastidendoti-perché stai ancora cercando di accendere i tuoi quattro neuroni che ti serviranno nel corso della giornata-ecco, proprio quel momento lì è magico. Come il pavimento lastricato dei portici in alcuni punti irregolare e liscissimo che al primo giorno di umidità si bagna riflettendo le luci delle vetrine e nel periodo natalizio, le luminarie. Per non parlare della bellezza di una piazza mai sazia di incontri e sulle panchine intorno al monumento dei caduti della prima guerra mondiale, gente si siede soprattutto d’estate, quando in casa non si respira. C’è sempre stata vita lì, anche se i puristi della razza bianca non intendono vita quella partorita da chi non ha lo stesso loro colore della pelle e invece, è molto più vita quella che riempie gli spazi pubblici lasciati altrimenti morire dai nostri vizi che ci spingono a gareggiare tra gli agi, chiuderci nelle nostre ville e decretare la sentenza inoppugnabile che se ti siedi su una panchina in piazza di sera sei uno sfigato.
Va da sé che la piazza comunque vive anche a tarda notte, tra un insonne a passeggio, una ragazza che sgattaiola via dalla garconiere di un suo amico sistemandosi il vestito attillato che ne sottolinea le curve e ne evidenzia il viso speranzoso e pieno di vita, un gruppetto di ragazzi che rincasa velocemente fumando l’ultima sigaretta, il barista che chiude la serranda del suo locale, un fascio di luce fioca che esce da una finestra con le imposte verdi e si ferma sul ciottolato novellarese, mentre una sagoma indefinita ma abbastanza nitida dietro alla tenda scostata sembra dipingere, guardano la piazza come la guardo io. Sposto lo sguardo quando una volante dei carabinieri mi passa accanto e accenno un saluto ricambiato dai due ufficiali che stanno per terminare il loro giro e nient’altro, se non il suono delle campane della Rocca dei Gonzaga che scandiscono il tempo dandosi il cambio con quelle della Chiesa di Santo Stefano, che troneggia su piazza unità d’Italia.
La notte da queste parti è il trionfo della quiete gentile di cui abbiamo bisogno per ristorarci e nel microcosmo novellarese, durante la notte avviene il reset per ritornare in scena l’indomani mattina e difendere le apparenze costruite in anni e anni di duro lavoro.
Signore e signori qui non è tanto lo spettacolo (principalmente in playback) a fare la differenza, ma questa meravigliosa scenografia che resiste al severo e intransigente passaggio del tempo, con annesse sensazioni, emozioni e profumi, che pur evolvendo mantengono la stessa preziosa aurea contadina insinuata tra le crepe dei mattoni e le foglie dei pioppi, tra i canali delle valli e le coltivazioni d’angurie, nel mosto di settembre e nel Lambrusco stappato quando il gnocco fritto dal color oro è pronto e ancora bollente, lo si addenta smorzando il calore con una fetta di salame che, indipendente, rotola da sola per la tavola dribblando bicchieri e posate da quanto è spessa.
Passano le persone, le storie, le vite, ma il sogno novellarese resiste ancora e citando un famoso film, non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx.
Quindi, mettetevi il cuore in pace e fate a modo.
Daniele Gareri
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