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Cara Nonna.

Una notte di dicembre hai deciso che era venuto il momento di andare.

Non è stato un fulmine a ciel sereno, non è stata una cosa inaspettata, hai deciso di andare e cosi sia. Ma lasciami dire una cosa: hai combattuto come sempre fino alla fine. Donna forte, piena di vita, dallo sguardo severo ma tremendamente dolce, questo eri. A noi nipoti ci raccontavano di quanti sacrifici hai fatto per allevare una famiglia cosi grande e numerosa, da sola, perchè tuo marito era morto giovane. Ci hanno spiegato il perchè del vestito nero, del cucco in testa, e di tutte quelle cose che non capivamo. La nonnina tutta speciale. La nonnina che si alzava alle cinque del mattino e “andava a fare l’acqua” cosi si diceva dalle nostre parti, quando andavi a prendere l’acqua e subito dopo la messa delle sei, poi la spesa e tutte le faccende di casa. La nonnina dal bel sorriso che tutte le volte che ci vedeva si commuoveva e ci vedevamo poco, molto poco. Una o due volte l’anno, a meno che non ci fossero occasioni importanti come battesimi o matrimoni, in quel caso venivi a trovarci, ma dopo qualche giorno non vedevi l’ora di tornare nella tua terra, la nebbia dicevi, “non è cosa per me” e come darti torto. Quando te ne andavi ci lasciavi qualche soldino, soprattutto sotto Natale.

Ora i miei pensieri sono un po confusi, ma ricordo bene alcune cose. Per esempio l’estate. L’estate era il periodo in cui stavamo più tempo insieme. Giocavamo davanti a casa tua, con il pallone, un super santos arancione insieme ai bambini delle case di fianco, ed era bellissimo perchè tu te ne stavi seduta su uno sgabello piccolissimo, ed era la tua sedia personale, ti mettevi fuori dalla porta, ci guardavi e intanto facevi l’uncinetto. Noi giocavamo ed eravamo felici in un quadretto perfetto di cui ho un forte ricordo. Quando finivamo di giocare, ci chiamavi a cena e facevi tantissime squisitezze da mangiare ma una in particolare ci faceva impazzire: le tue polpette. Credo fossero la cosa più buona e più imitata in assoluto, ma le tue, erano divine. E ti faceva molto piacere quando te lo dicevamo anche se non eri una donna abituata a troppe parole, ne a troppi complimenti, ne a troppi fronzoli, eri forte e risoluta e ci riprendevi quando ci lamentavamo sempre, ricordandoci di quanto eravamo fortunati. Tutte cose a cui non davamo assolutamente peso una volta. Quindi, il mese di Agosto era un mese bello cosi, quando insistevamo il 15 ferragosto e ti portavamo al mare ma tu non volevi mai venire, però lo facevi per noi, e noi eravamo contenti. Poi quando era ora di ritornare a casa, partivamo sempre all’alba e tu ti svegliavi alla solita ora, facevi i soliti giri e inoltre ci aiutavi a caricare la macchina, perchè con le mani in mano non ci sapevi proprio stare, e li ci stringevi, ci abbracciavi, ci dicevi di mangiare e ci davi un grosso bacio facendoci promettere di chiamare presto, e noi piccoli com’eravamo c’è ne andavamo con un pò di tristezza nel cuore, ma non capivamo mai perchè la mamma piangeva tutte le volte come un’aquila. Solo crescendo abbiamo realizzato quanto una figlia o un figlio possano soffrire ad avere i genitori a mille chilometri di distanza.

Dopo l’estate le occasioni nel rivederti erano le vacanze natalizie, ma non sempre riuscivamo a convincerti di venire su da noi, ma quando ci riuscivamo era una festa. Giocavi con il nostro cagnone, che da piccolino ti tirava il grembiule e ti divertivi anche tu. Quando andavi dalla Carla e Vittorino (i nostri vicini di casa) mi divertivo io invece, nel vedervi comunicare in un misto tra dialetto emiliano, calabrese, e italiano, ed era stupendo perchè raccontavate le stesse cose da due punti di vista differenti, e mi parlavate della fame, della povertà della carestia e di tutte quelle cose che le vostre generazioni hanno passato, come la guerra per esempio. Io vi ascoltavo e vi avrei ascoltato per ore. Sentire come la resistenza resisteva in mezzo alla campagna e come lo faceva in mezzo alle colline calabresi, o come ci si arrangiava quando mancava il pane e si doveva sfamare una famiglia intera. O mi raccontavate di quante persone morivano tutti i giorni per permettere alle generazioni successive di vivere una vita libera, libera davvero, voi che una dittatura l’avete vissuta. Erano interessanti i vostri dibattiti, a parte la lingua da interpretare, ma era bello vedere quante cose in comune avevate. Quando andavamo a trovare tutti gli altri nostri parenti invece, facevamo delle splendide cene tutti insieme in taverna, c’eravamo proprio tutti, ed eravamo in tantissimi. Ognuno faceva qualcosa da mangiare, c’è chi portava il primo, chi il secondo, chi il dolce, era una sagra più che altro. E tu, che volevi sempre renderti utile, ti prodigavi nella preparazione di contorni perchè erano le uniche cose che restavano da fare. Dopo mangiato, e questo non me lo scorderò proprio mai, ti mettevi di fianco al camino e ci guardavi con gli occhi lucidi e pieni d’emozione, orgogliosa di tutti noi, e sospirando sorridevi.

Ti voglio ricordare cosi. L’unica cosa che posso fare e scriverti, ciao Nonna ti voglio bene.

Daniele Gareri

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