E’ l’ultima domenica del mese di marzo e la temperatura aumenta lievemente giorno dopo giorno. Finalmente la Primavera, se ne sente il profumo leggero, un sollievo adesso che l’orario è cambiato e un’ora di luce in più accompagnerà le nostre giornate. In sottofondo un po’ di musica mi esorta a mettere su una moka di caffè per assecondare il pomeriggio nel migliore dei modi. E’ decisamente una domenica di fine marzo, ideale per un giro in bici o chessò, una passeggiata in campagna.
Sarebbe tutto perfetto se non fossimo nel bel mezzo di una quarantena di cui ho perso il conto dei giorni. La pandemia continua, invisibile, a mietere vittime nascosta all’ombra dei ciliegi in fiore. I bollettini delle 18 sono ormai un appuntamento fisso e sia il conto dei contagiati che dei morti non accenna a diminuire. Giorno dopo giorno aumentano anche i nostri dubbi, su quando usciremo e soprattutto come ne usciremo. Le giornate trascorrono silenziose, abbastanza simili le une con le altre, occupate comunque da una miriade di piccole o grandi cose che ognuno di noi ha scelto di fare. C’è chi cucina, chi legge, chi fa esercizi fisici, chi canta, chi dipinge, chi scrive, chi ha la possibilità di lavorare da casa, chi fa progetti per il futuro, chi cerca un lavoro, chi sistema casa, chi ascolta musica. La vita sta scorrendo lenta tra le mura di chi una casa ce l’ha, con un pensiero, pressochè costante, a chi in questo momento sta combattendo in prima linea e a quelle famiglie che in queste ore piangono le loro vittime.
Oggi sono alla finestra, sto prendendo qualche appunto mentre osservo la via in cui abito, desolata, come tutti i giorni ormai. Mi concentro sui rumori e le voci che provengono dagli appartamenti attorno al mio. Sento stoviglie che vengono spostate, dialoghi più o meno accesi, e sorrido mentre ascolto una famiglia napoletana discutere in dialetto stretto, non so dirvi di preciso la zona di provenienza. Sotto di me un ragazzo con mascherina e passo veloce si appresta a rincasare, mentre davanti a me e dietro una tenda noto il mio vicino guardarmi. Faccio finta di nulla e continuo a scrivere. Dopo qualche minuto alzo nuovamente lo sguardo e lo ritrovo lì, sempre a guardarmi con più curiosità, quasi a voler leggere i miei appunti (nulla di che, una sorta di diario). Gli sorrido e abbasso lo sguardo intento a finire la frase per non perdere il filo. Finisco e vado a capo, riguardo verso la finestra ora aperta e trovo due coniugi, non piú solo uno, a guardarmi. Saluto sorridendo e loro ricambiano chiedendomi come sto. Iniziamo a parlare e, cercando di trovare tutta la positività che mi caratterizza ma che in questi giorni è andata nascondersi da qualche parte dentro di me, provo a rincuorarli e fargli un po’ di compagnia per quanto mi sia possibile da una finestra all’altra. Noto la loro preoccupazione che non è molto diversa dalla mia, ma soprattutto, la voglia di parlare e di scambiare due parole. Ho detto loro di non avere paura, che tutto passerà sicuramente, che ci vorrà del tempo, ma che si sistemerà tutto e mentre lo dicevo a loro, lo ripetevo a me stesso. Mi dicono che ascoltano la musica che metto su tutte le mattine e mi chiedono se ho il riscaldamento acceso visto che sono sempre in maniche corte e finestre aperte. Rispondo che no, il riscaldamento lo accendo solo alla sera e sto in maniche corte perchè ho caldo ma in un attimo mi trattengo dal ridere al pensiero di questi due simpatici signori che osservano la mia quotidinità mentre per esempio canto a squarciagola o ballo scoordinatissimo in mutande. Si faranno sicuramente grasse risate, e va bene cosi.
Questo contatto di pochi minuti da una finestra all’altra mentre il sole di fine marzo scalda nostri volti e una brezza leggera spazza via i pensieri negativi, a loro e a me, ha contribuito a cambiarmi la giornata. Ricordando loro che le mie finestre sono sempre aperte (in questi giorni la temperatura lo permette) nel caso abbiano bisogno, ci siamo salutati molto più sereni, come se questo breve scambio sia stata una boccata d’aria fresca e rigenerante.
{Dopo pochi minuti ripassava l’altoparlante che ricordava di stare in casa e mettendomi a scrivere pensavo che la battaglia è ancora molto lunga, ma sicuramente ne usciremo.}
Due parole in via Veneto.
Daniele Gareri
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