
Le giornate scorrevano veloci e Roman rimpiangeva di non poter essere in quel parco pubblico. Osservava dalla finestra persone affaccendate in diverse attività durante il giorno. Li guardava dal suo letto, con tre grandi cuscini sotto la schiena a sostenerlo. Aveva chiesto di farlo rialzare per poter vedere meglio fuori e con questa nuova prospettiva, immaginava di toccare il cielo. Viveva ormai in quella camera da cinque anni ma non parlerò della sua malattia.
Dedicava molto tempo alla sua cura personale. Barba e capelli sempre impeccabili (grazie al suo amico barbiere che a domicilio passava a trovarlo due volte al mese), indossava sempre vestiti nuovi e alla moda, nonostante il suo mondo ruotasse attorno alla camera da letto e l’unica persona che vedeva con regolarità era la sua assistente Sofia, che ormai si era affezionata a lui.
Sofia era vedova e portava ancora la fede in ricordo del marito Gregor. Insieme avevano trascorso una vita tranquilla e serena. Si completavano, come lei più volte in poche parole aveva sostenuto. Cinque anni fa accettava l’offerta di lavoro di Roman senza esitazioni perché voleva ricominciare una nuova vita e quella era stata un’opportunità interessante sia professionalmente ma soprattutto, umanamente. Col tempo l’avrebbe capito. Sofia fin da ragazzina si era presa cura dei tre fratelli, aiutando i genitori a mandare avanti l’attività familiare. La propensione, la delicatezza e la sensibilità con cui si prendeva cura degli altri non sfuggiva ai genitori, che seppur con tantissimi sacrifici avevano sostenuto l’istruzione della figlia strappandole la promessa-poi mantenuta-di realizzarsi ed uscire da quel limbo di povertà in cui era cresciuta. È cosi che Sofia diventava infermeria e per anni lavorava nell’ospedale della città conoscendo Gregor, suo marito qualche anno dopo.
Roman era stato un funzionario di banca apprezzato e stimato da tutti. Aveva salvato diverse volte la sede centrale dal collasso, soprattutto durante il periodo bellico in cui le sue capacità di abile mediatore erano state molto utili. Era sposato con Irina, nella villa che avevano ereditato dopo la morte dei nonni di Roman, e in quella casa iniziavano a gettare le basi per una vita insieme. Per poco però. Due anni dopo infatti, in una fredda sera di marzo, Irina veniva uccisa sotto gli occhi di Roman durante una tentata rapina. Quello che so è che lui aveva travolto due degli aggressori così ferocemente da metterli subito fuori gioco, mentre gli altri due trascinavano per i capelli Irina fuori di casa. Irina aveva provato a liberarsi per altro riuscendoci, ma una spinta ben assestata da uno degli assalitori la faceva cadere e sbattendo la testa violentemente a terra, moriva sul colpo. La teneva tra le sue braccia mentre piangeva e le lacrime cadendo, si mescolavano al sangue ancora caldo sul viso di Irina. Passavano così l’ultima notte della loro vita insieme.
Da quel momento come potete immaginare la vita di Roman era cambiata. Nei primi anni la depressione in cui era caduto diventava un’ulteriore tortura a cui difficilmente altri avrebbero resistito. Solo la corazza indossata e la tempra di cui disponeva gli avevano permesso di andare avanti trascorrendo una vita divisa tra il tenere vivo il ricordo di Irina e affogare nei più indicibili vizi dimenticandola, anche solo per un’ora. Una vita trascorsa in lotta con sé stesso cercando risposte per alleviare il dolore che lentamente lo consumava.
Poi negli ultimi cinque anni, la malattia, un altro colpo devastante. Aveva passato la vita a fuggire dal dolore e ora non poteva più scappare. All’inizio la sua gabbia era inospitale e fredda ma Sofia pian piano l’aveva resa calda e accogliente. Si era permessa di aggiungere qualche foto dei viaggi in Europa di Roman, e ci aveva messo anche qualche fotografia di lei e Gregor. La camera era molto grande e le due finestre facevano entrare luce in abbondanza. Davanti a Roman, nella parte opposta rispetto al suo letto c’era la libreria: entrambi erano lettori ingordi e nei loro lunghi silenzi, quando il sole muovendosi scandiva il ritmo della giornata esibendosi in quella danza meravigliosa di luci e sfumature che tutti conosciamo, assimilavano storie come se fossero spugne viventi. Nel dopo cena parlavano delle loro letture scambiandosi consigli reciproci ma questa pratica era destinata unicamente ai libri davvero incisivi per loro, ed erano pochi. Non guardavano la televisione, in realtà in camera non era presente e quella della cucina non veniva mai accesa da Sofia perché quando cucinava desiderava silenzio assoluto. Per rimanere informato sul mondo Roman leggeva il giornale tutti i giorni ma con distacco come se non appartenesse più a quel tempo e a quella realtà.
In quei cinque anni Roman era riuscito a trovare un equilibrio e una serenità nonostante tutto. Aveva accettato di vivere in disparte aspettando il giorno giusto (i dottori sostenevano che avrebbe avuto a disposizione un altro anno di vita ma quello che so è che anche l’anno prima avevano detto la stessa cosa) per raggiungere Irina. Sofia ormai conosceva Roman e aveva capito che non era spaventato dall’idea di morire. Anzi, certi giorni erano cosi difficili da sopportare che lo desiderava con tutta la poca forza che gli rimaneva in corpo. Altri giorni invece no, ed erano quei giorni in cui i bambini dell’asilo lì vicino venivano accompagnati dalle maestre a giocare e le loro urla di felicità e di gioia per un’ora avvolgevano Roman ma molto spesso anche Sofia, che incantati, dalla finestra li guardavano e dimenticavano ogni cosa. Va detto che entrambi, con i rispettivi coniugi, avevano cercato e desiderato ardentemente avere figli. Invecchiando si rendevano conto di essere soli e spesso quel pensiero faceva capolino ma lo tenevano lì, dov’era sempre stato e affidandolo al potere terapeutico del silenzio.
Col tempo però non erano più soltanto il binomio professionale assistente-malato ma molto di più. Ed era stato Roman il primo ad abbattere quel muro, interessandosi con estrema discrezione alla vita di Sofia. I ricordi di entrambi rivivevano nei loro rispettivi occhi e le ombre sparivano lasciando spazio a quella nostalgia che sedimenta tra le cose del passato. Roman a differenza di Sofia non aveva potuto vivere a lungo il suo amore con Irina, mentre Sofia e Gregor, si. Questo aspetto col tempo li aveva uniti. E in certi giorni Roman sembrava dimenticarsi del suo dolore e chiedeva a Sofia di parlarle di lei e Gregor, di raccontare gli aneddoti, i viaggi, la quotidianità, le gioie ma anche i dolori, insomma di tutto l’amore che avevano vissuto. Sofia con piacere riapriva il cassetto e tirava fuori alcune foto che passava a Roman associandole ogni volta ad un nuovo ricordo. In quel viaggio Roman ci si immergeva con tutto il corpo, il suo battito rallentava, i suoi muscoli si distendevano e si lasciava andare affondando finalmente nei grossi cuscini che lo sostenevano. Quando i suoi occhi pian piano iniziavano a chiudersi, Sofia sapeva esattamente che Roman avrebbe iniziato il suo viaggio. Infatti era solito allungare la sua mano ossuta e screpolata fino ad afferrare quella liscia e curata di Sofia. Sofia allora non risparmiava nessun dettaglio e con vigore ritrovato raccontava a Roman la sua vita passata con il marito Gregor.
Roman chiudendo gli occhi pensava ad Irina e si immedesimava nel racconto a tal punto da immaginare che la mano che teneva stretta era la sua dolce mano. In quei momenti la camera da letto diventava il soggiorno con il camino, la sala da pranzo o un attimo dopo si trasformava nella veranda sul giardino e la casa in cui avevano vissuto per poco prendeva forma nella sua mente. Da fuori Sofia poteva vedere la serenità che Roman ritrovava e ne era felice, lei stessa aveva l’opportunità di rivivere i suoi ricordi senza dimenticare nulla e impedendo così che la polvere, posandosi su ogni cosa, ricoprisse le tracce di quello che era stato.
Sono passati anni. Roman e Sofia continuano a stringersi la mano quando le parole di Sofia prendono il volo, con la serenità ritrovata di chi ha sofferto per una vita intera e oggi guarda fuori dalla finestra abbozzando un sorriso, attendendo.
Daniele Gareri
Dedicato a chi decide di sostenersi nel lungo cammino che chiamiamo vita. Non è mai troppo tardi.
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