
Questo racconto è ispirato al tragico naufragio del 26 febbraio 2023 a largo delle coste calabresi. Ad oggi sono 94 le vittime accertate di cui 35 minori.
Il Viaggio di Rashid
Non smette di guardarsi le scarpe Rashid e sulla spiaggia in cui è stato salvato tramonta il sole. Quel mare, di una bellezza mozzafiato, rievoca in lui immagini tristi. Quando chiude gli occhi sente ancora le urla disperate.
C’è rimasto poco a Steccato di Cutro dopo che i riflettori si sono spenti, d’altronde l’informazione viaggia veloce. Sfilate di ministri, decreti anti-immigrazione stilati in fretta e male, foto, giornali, promesse. Si è parlato tanto, come sempre. Curiosamente lo si è fatto in una regione dimenticata da quelle stesse istituzioni spesso colluse con la criminalità organizzata. Una regione, la Calabria, dimenticata come Rashid.
Alle sue spalle le colline verdi che portano ai paesi dell’entroterra, cambieranno presto colore. Arriverà un’altra estate arida e desolata.
Il padre di Rashid era morto da un anno e sua madre l’aveva aiutato a racimolare i soldi per la traversata. Non era stato semplice. Lui e il cugino avevano dovuto aspettare in Turchia, rinchiusi assieme ad un centinaio di altri disperati, il momento giusto per partire. Potevano passare giorni o mesi. Sarebbero stati coloro a cui avevano consegnato i soldi per il viaggio a decidere quando imbarcarli. Ma dopo un mese era arrivato anche il suo momento, non del cugino però che era stato prelevato insieme ad un altro gruppo di persone e portato via. Erano riusciti ad abbracciarsi velocemente e trattenendo a stento le lacrime, non si sarebbero mai più visti. La notte stessa tre uomini armati portavano fuori Rashid e i suoi futuri compagni di viaggio.
Il vecchio caicco batteva bandiera turca e a prua, il nome Summer Love era in parte sbiadito. Una volta partiti, Rashid non sarebbe più riuscito a quantificare i giorni di traversata. Il sole illuminava le facce sporche e consumate dalla salsedine. Alcuni abbracciavano i propri figli stringendoli forte, altri bambini, soli, guardavano quelle scene senza parlare. Rashid sapeva bene quali erano i loro pensieri e più volte si era improvvisato fratello maggiore prendendosene cura e stando con loro durante il viaggio.
Sul barcone regnava il silenzio, nessuno aveva voglia di parlare. Provenivano tutti da luoghi diversi e comunicavano con gesti essenziali. Erano ammassati, non potevano muoversi troppo e il calore umano li scaldava in quelle lunghe notti fredde. Rashid ricordava bene anche gli odori. A bordo, dopo qualche giorno di agonia, era morta un’anziana signora ripetutamente maltrattata dai carcerieri turchi prima di partire. Quell’odore acre, disgustoso, fetido, era insopportabile. Alcuni l’avrebbero voluta gettare a mare, altri no, coltivando la speranza di darle una degna sepoltura appena giunti a destinazione. Nel frattempo l’accantonavano in un angolo coprendole il volto.
Dopo circa una settimana di viaggio si avvicinavano alla costa. Uno di loro sosteneva che presto sarebbero giunti a destinazione, governava il barcone dall’inizio, un ragazzo poco più grande di Rashid. Si sarebbe poi confuso nel mucchio scomparendo in un giaccone logoro e rattoppato, al momento dell’approdo. Il 26 febbraio il mare era mosso e in lontananza luci fioche delineavano la terra. Un mormorio crescente risvegliava l’entusiasmo per giorni sopito: ce l’avevano fatta, eccola l’Italia.
Ma in mare le cose cambiavano in fretta. Il vento aumentava improvvisamente la sua forza, gonfiando le onde. In pochi minuti l’entusiasmo si trasformava in disperazione. Le urla soprattutto, quando il barcone si innalzava a prua e sbatteva col fianco su una secca spezzandosi letteralmente in due. La costa davanti a Rashid rimaneva lì immobile, senza porgere una mano, senza reagire. Solo qualche ora dopo avrebbe scoperto che non tutti erano rimasti ad assistere alla sua morte e nuotando tra le onde, combattendo per non farsi trascinare giù, aggrappandosi a pezzi di legno marci che odoravano di benzina, schivando i pochi salvagenti destinati a qualche bambino che piangeva e chiamava la mamma, ma la mamma non rispondeva, veniva sollevato da una forza invisibile che lo cingeva alla vita, usciva da quell’inferno freddo, toccava la spiaggia di Steccato e perdeva conoscenza.
A Steccato di Cutro le estati erano quasi sempre state serene. Un lunghissimo tratto di spiaggia incontaminato, non vi erano bagni se non verso la fine, dove iniziavano alcuni villaggi turistici. Una parte della Calabria completamente incontaminata, lontana dalle transumanze turistiche d’agosto se non per quelli che lì ci erano nati e i loro figli di seconda, terza e anche quarta generazione. Una delle province più povere d’Italia Crotone, ma ricchissima di storia. Una terra di forti contrasti, poco conosciuta, ma trasudante di umanità come si conviene ad una terra di mare. Questo Rashid non lo sapeva e non era il solo.
Qualcuno, mentre scendeva all’alba tra le colline dei paesi dell’entroterra, aveva avvistato in lontananza macchie scure in mare. I pochi che vivono tutto l’anno a Steccato invece, si erano subito uniti ai soccorsi organizzati giunti dalla citta di Crotone e dai centri più grandi. Nel giro di mezz’ora altri calabresi si precipitavano in spiaggia cercando di afferrare quelle vite appese a un filo, galleggianti e annaspanti.
La questione meridionale che si intrecciava con la questione dei migranti. Un fenomeno che accadeva da anni, fatto di volute dimenticanze da parte delle istituzioni, percezioni errate e convinzioni difficili da estirpare. Tutti cercavano di salvare più vite possibili assecondando l’assioma sostenente che in mare, non si abbandonava mai nessuno.
Rashid riprendeva conoscenza qualche minuto dopo su una barella, ed un volontario della croce rossa lo aiutava ad alzarsi. Sorgeva il sole, le urla si erano trasformate in pianti disperati e tutta quella gente si buttava in acqua per aiutare gli ultimi superstiti. Intorno a lui il caos. Sirene, luci blu e una brezza incessante carica di morte si mescolava all’odore di salsedine. Mano a mano il sole saliva, la costa s’illuminava: l’acqua per giorni scura, era cristallina ora. Rashid aveva capito di essere vivo e scoppiava in un pianto liberatorio. Si rialzava, voleva vedere quei corpi stesi che venivano coperti. Riconosceva i bambini con cui aveva giocato durante il viaggio. Ora avevano le labbra viola e parevano ancora sorridere. Le lacrime calde di Rashid si infrangevano sugli occhi chiusi di quei piccoli che sognavano una nuova vita, lontana da guerre e povertà. Si accasciava a terra e con le mani nei capelli pensava a sua madre in Siria forse ancora nascosta in quel bunker da mesi dopo che i bombardamenti avevano distrutto la loro casa. Quindi scavava nei ricordi per trovare un momento felice, una boccata d’aria. Ricordava una domenica pomeriggio, con le sue due sorelle, la mamma e il papà, mentre giocavano insieme nel loro piccolo giardino. Stringeva al petto il suo quadernino e per un attimo sentiva il loro calore.
Ora è di nuovo su quella spiaggia. Ripensa a quella notte e tra le croci e qualche fiore che resiste, c’è anche un pupazzetto simile a quelli con cui giocava da piccolo.
Sul suo quaderno scrive: “giorno 0 rinasco qui, in questa terra chiamata Calabria, non so dove sono, ma sono ancora vivo”.
Daniele Gareri
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