
Mi trovo in cima al “Top of the Rock”e sotto di me, la città che non dorme mai illuminata a giorno tra i grattacieli che svettano verso un cielo terso e limpido. E’una domenica sera di giugno, ventosa e calda. Sono completamente rapito da quello che i miei occhi stanno ammirando: la Grande Mela.
Eccola qui finalmente, che se apro le braccia posso contenerla tutta. Da quassù la vista è meravigliosa e l’Empire State Building è un piccolo gioiellino come quelli che puoi trovare da Tiffany sulla quinta. La quinta strada, il cuore di New York, in una Midtown che brulica di vita in cui la routine quotidiana si incastra perfettamente tra i larghi marciapiedi i tombini fumanti e i palazzi. La vedo da qui. In lontananza sento i clacson, le sirene, ed altri rumori che non riesco a definire anche perchè quassù c’è un vento fortissimo. All’orizzonte l’inquinamento visivo è tanto, le luci illuminano tutto. I newyorkesi non conoscono le stelle, ed hanno imparato a costruirsele da soli. Davanti a me l’Empire, oggi colorato in onore del gay pride, alla mia destra il fiume Hudson, a sinistra l’East River ed all’orizzonte, dopo i grattacieli del Financial District, l’oceano. Dietro di me il grande polmone verde di Central Park che di notte dall’alto è una grossa macchia nera, e tutt’intorno le strade che si incastrano formando un reticolato perfetto scandito dagli incroci e delimitati dai semafori attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Su quelle strade, si inseguono le luci dei taxi gialli, le macchine, i camion; la vedo da quassù che si evolve secondo dopo secondo la capitale del mondo, dove tutto il mondo, ha imparato a incontrarsi. Nel bene e nel male è lei che sposta gli equilibri e che per certi versi li definisce: non partecipa al gioco, New York è il “gioco”, e ci penso mentre guardo i palazzi del financial district che da quassù sono dietro l’Empire.
Sono passate due ore ed ho voglia di gridare al cielo con tutta la forza che mi rimane, ribadire il concetto di essere vivo, smuovere ogni millimetro del mio corpo e risvegliarlo da quel torpore. Lo faccio. E non sono solo ora: ringrazio la persona che è al mio fianco in questo momento e con cui sto condividendo suddette emozioni che rimarranno per sempre.
Stasera però questa città mi sembra ancora più bella. Non riesco a distogliere lo sguardo. In poco tempo mi ha dato tutto, mi ha fatto sentire a casa, mi ha accolto completamente. Ha avuto pazienza con un forestiero, dandogli preziosi consigli. Ha condiviso tutto con lui, ha aperto il suo grande cuore mentre gli occhi lucidi si emozionavano per ogni piccola gioia. Stasera era ancora più bella. Stasera era ancora più vera.
E’ venuto il momento di scendere, devo tornare a casa.
Da Quassù, ti ricorderò per sempre
Daniele Gareri
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